31.12.1994 

Introduzione

Anselm Jappe

Il capitalismo sta per finire. La prova: il crollo dell’Unione sovietica. Base dell’analisi: la critica “oscura” che un certo Karl Marx rivolse al “valore”.

Saranno la lotta di classe e la lotta per la democrazia a vincere il capitalismo? La lotta di classe non è stata altro che il motore dello sviluppo capitalistico, e non ne potrà mai scaturire un suo superamento. La democrazia non è l’antagonista del capitalismo, ma la sua forma politica, e ambedue hanno esaurito il loro ruolo storico.

Queste sono alcune delle più audaci tra le tesi proposte da Robert Kurz e dal gruppo che con lui pubblica in Germania la rivista Krisis. Forse si tratta dell’avvio di un’autentica rivoluzione teorica; in ogni caso, il confronto con le idee elaborate da questo gruppo sarà fertilissimo per tutti coloro che non vedono in questa società l’ultima parola della storia, ma che sono insoddisfatti da una critica divenuta uno stanco trascinarsi di concetti sempre più visibilmente superati. Partiti con l’intento di svecchiare la teoria marxista, Kurz e i suoi amici si sono imbarcati in una vera avventura di riflessione in cui hanno abbandonato man mano molte delle venerande certezze della sinistra. Diversamente da altri tentativi di “revisione” della teoria marxista, qui non si va però verso il “realismo” o il riformismo, ma verso una nuova impostazione della critica radicale.

Mentre nei tredici voluminosi numeri di Krisis, pubblicata a partire dal 1986 (e intitolata inizialmente Marxistische Kritik) si svolge collettivamente il lavoro più strettamente teorico, Robert Kurz ha presentato a un più vasto pubblico diverse analisi dell’attuale crisi economica e politica tramite libri, articoli, conferenze, dibattiti. Con le ventimila copie vendute di Der Kollaps der Modernisierung (Il collasso della modernizzazione), pubblicato nel 1991 sotto gli auspici di H. M. Enzensberger, le teorie di Krisis hanno cominciato a suscitare una vasta eco in Germania. La frequente organizzazione di seminari e incontri e la progettata costruzione di strutture più stabili indicano la volontà di Krisis di dare vita a un movimento di più vasto respiro.

I tre saggi qui tradotti, uno di carattere più teorico, due dedicati all’analisi dell’attualità, vogliono essere solo una primissima introduzione alla vasta produzione di Kurz e di Krisis, di cui si spera di poter presto proporre altre traduzioni. Poiché questi testi toccano soltanto alcune delle tematiche affrontate dalla rivista, la loro comprensione sarà agevolata dal seguente riassunto, per quanto succinto, del quadro teorico generale di Krisis .

Il punto di partenza sono i concetti marxiani di “feticismo” e di “valore” in quanto descrivono la trasformazione dell’attività umana concreta in qualcosa di astratto e puramente quantitativo come il valore di scambio, incarnato nella merce e nel denaro. Il “feticismo” dunque non è solo un’illusione o un fenomeno di coscienza, bensì una realtà: l’autonomizzazione delle merci che seguono solo le proprie leggi di sviluppo. “Dietro” la cieca processualità autoreferenziale del valore non vi è un soggetto che “fa” la storia. Ma diversamente dallo strutturalismo, Krisis non crede che il “processo senza soggetto” sia una legge fondamentale ed inalterabile dell’esistere, vi vede piuttosto uno stadio storico necessario, ma transitorio.

Scrive Ernst Lohoff su Krisis n. 13: “Il tenore contemplativo e affermativo con cui Hegel fa sviluppare la realtà a partire dal concetto di ‘Essere’ è totalmente estraneo alla descrizione marxiana [del valore]. In Marx, il ‘valore’ non può contenere la realtà, ma la subordina alla sua forma, distruggendo quella e con ciò se stesso. La critica marxiana del valore non accetta ‘il valore’ come dato di base positivo, né argomenta in suo nome. Essa decifra la sua esistenza autosufficiente come apparenza. Proprio la realizzazione su larga scala della mediazione in forma di merce non porta affatto al trionfo definitivo di questa, ma coincide piuttosto con la sua crisi”. In altre parole: il “valore” contiene già nella sua forma più essenziale (quella descritta nel primo capitolo del Capitale) una contraddizione insanabile che conduce ineluttabilmente, anche se dopo molto tempo, alla sua crisi finale. Questa crisi sta iniziando sotto i nostri occhi.

Una conseguenza vistosa del riconoscimento della logica del valore come centro di tutte le crisi è la critica del “sociologismo” e dell'”illusione concernente il soggetto”. Lo sviluppo del capitalismo con la dissoluzione di tutte le qualità che parevano legate indissolubilmente alle persone tende a staccare funzioni come “essere operai” o “essere dirigenti” dagli individui empirici; e Krisis accusa di “sociologismo” tutta la sinistra che considera i soggetti collettivi, quali la borghesia e il proletariato, con i loro interessi o con la loro “avidità di profitto”, come gli attori in un sistema di cui sono in verità solo l’ingranaggio. Invece di voler smascherare i “veri interessi” che si celano “dietro” gli imperativi tecnologici o di mercato, Krisis mette sott’accusa proprio l’esistenza di questi imperativi e osserva che attualmente nessuna proposta si spinge oltre una diversa ipotesi di ridistribuzione quantitativa o la richiesta di una maggiore “giustizia”. Ciò è, tuttavia, perfettamente inutile: chiedere “prezzi giusti” (per es. per il Terzo Mondo) è tanto insensato quanto chiedere una “pressione atmosferica giusta”, perché significa rivolgersi come a un soggetto a qualcosa che soggetto non è. Il vero scandalo è la trasformazione di un oggetto concreto in un’unità di lavoro astratto e poi in denaro.

Così l'”addio al proletariato” diventa definitivo: come gruppo sociale basato su identiche condizioni di lavoro, di vita, di cultura e di coscienza, il proletariato non è stato il prodotto principale del capitalismo, ma piuttosto un resto feudale. Con la sua lotta per integrarsi pienamente nella società capitalista, il proletariato ha in verità aiutato questa a dispiegarsi compiutamente. Il movimento operaio e le sue ideologie non oltrepassavano affatto l’orizzonte della società del valore ed erano un elemento centrale nella trasformazione degli individui in mere “monadi”, in particelle formalmente uguali e libere. Le pretese rivoluzioni nei paesi dell’Est e del Terzo Mondo, ma anche il fascismo e il nazismo, si leggono in quest’ottica come processi di modernizzazioni in ritardo e come tentativi di ristrutturare in fretta quei paesi secondo le esigenze imposte dalla merce. Krisis non solo ingloba in questo giudizio tutto il marxismo, incluse le sue correnti critiche, ma opera anche una distinzione all’interno della teoria di Marx stesso: tutto il concetto di lotta di classe era in fondo una teoria della liberazione del capitalismo dalle sue scorie precapitaliste, mentre è nella teoria del valore e del feticismo che Marx ha anticipato una critica che solo oggi diventa veramente attuale.

Ormai è inutile rivendicare “più democrazia”: questa, intesa come uguaglianza e libertà formali, è già realizzata e coincide con la società degli uomini senza qualità. Così come le merci, tutti i cittadini sono misurati con lo stesso metro, sono porzioni quantitative della stessa astrazione; che poi tutte le porzioni siano uguali è impossibile per le merci e dunque anche per la democrazia capitalista. Non la realizzazione della “vera” democrazia, sempre storpiata dal capitalismo, è il compito di oggi, ma il superamento di entrambi. Krisis considera inutile opporre gli ideali dell’illuminismo borghese, quali uguaglianza e libertà, alla loro cattiva realizzazione, ma riconosce già in questi ideali una struttura creata dal valore: il valore è sempre al contempo forma di coscienza, di produzione e di riproduzione.

Il movimento operaio ha sempre confuso il capitalismo con ciò che non era che uno stadio determinato della sua evoluzione. Le lotte di classe erano conflitti di interesse che si svolgevano sempre all’interno dell’orizzonte della società della merce, senza metterla in questione. Non poteva essere diversamente: il capitalismo era ancora nella sua fase ascendente e non aveva ancora dispiegato tutte le potenzialità che avrebbero rappresentato un effettivo progresso rispetto agli stadi precapitalisti. Se il fordismo ne ha segnato l’apice, è con l’informatizzazione che questo sviluppo entra definitivamente in crisi – e non su un aspetto particolare, ma su quello centrale: l’insopportabile contraddizione tra il contenuto materiale della produzione e la forma imposta dal valore.

Questa analisi ha condotto Krisis a predire l’attuale crisi economica mondiale e a, sostenere, tra i primi, che la riunificazione delle Germanie non poteva che condurre ad un disastro. L’URSS, afferma il gruppo di Krisis, era a pieno titolo parte del sistema mondiale della merce, ma non ha più potuto resistere alla concorrenza del mercato mondiale a causa dell’irrigidimento delle stesse strutture dirigistiche con cui era inizialmente riuscita a piazzarsi tra i paesi avanzati, ripetendo a tappe forzate quel processo di accumulazione originaria sotto direzione statale che i paesi occidentali avevano percorso nei secoli precedenti in modo più blando perché più lento. Quando la coscienza occidentale inorridiva davanti al “totalitarismo”, vedeva in verità solo un’immagine concentrata del proprio passato.

Il crollo dell’URSS non dimostra la superiorità dell’economia di mercato, di cui essa faceva parte, ma palesa come questa sia una corsa in cui, a cagione della necessità di un sempre maggiore impiego di tecnologie per poter produrre a costi concorrenziali, il numero dei partecipanti si riduce costantemente, e chi ne esce finisce nella miseria. L’insieme della crisi economica e di quella ecologica e lo slittamento verso una guerra civile mondiale strisciante si rivelano conseguenza del fatto che le capacità produttive, più elevate che mai, devono passare per la cruna della forma astratta del valore e della capacità di essere trasformate in denaro. Nessuna strategia che non miri ad abolire questo stato di cose potrà approdare a un vero cambiamento. Krisis non ripone perciò nessuna speranza nelle varie opzioni politiche attualmente sul mercato.

Dalla tesi che finora tutta la storia è stata, più che una storia di lotte di classe, una storia di rapporti feticisti, consegue che finora nessun soggetto si è potuto formare. Non esiste nessun polo positivo “in sé” – che sia il proletariato, o il Terzo mondo, o le donne, o la vita dell’individuo – che basti condurre ad appropriarsi del mondo. Il soggetto non può essere ritrovato nel passato, ma può nascere con il superamento della “seconda natura” in cui la società si è trasformata. Il tentativo di leggere la storia come una “storia di rapporti feticisti” in cui il valore è succeduto alla terra, alla parentela di sangue e al totemismo in quanto forme in cui si esprime la potenza umana inconscia di se stessa, sfocia nell’affermazione che questa “preistoria” dell’umanità stia per finire. Tutte queste forme sono diventate una “seconda natura”, strumento indispensabile all’uomo per differenziarsi dalla prima natura. Ma ormai è tanto possibile quanto necessario procedere a una “seconda umanizzazione”, questa volta cosciente. Se sono i rapporti feticisti ad aver fatto finora la storia e ad aver creato insieme ai rapporti di produzione anche le corrispondenti forme di coscienza, non c’è più bisogno di far ricorso a sofisticate teorie della “manipolazione” per spiegare come mai le classi al potere hanno potuto imporre per millenni alla maggioranza un sistema di sfruttamento.

Certo, in un modo o in un altro, queste tematiche sono già state trattate, anche recentemente, e anche in Italia. Ma la questione non è parlare di “valore” o di “feticismo”, ma il modo in cuilo si fa. La coerenza con cui Kurz porta fino alle estreme conseguenze i propri assunti fa della sua teoria, pur discutibile in alcuni punti, un’innovazione sostanziale.

“La crisi che venne dall’Est”, pubblicato dapprima il 7. 9. 1991 sul quotidiano Frankfurter Rundschau, riassume quell’aspetto del lavoro di Kurz che finora ha fatto più scalpore: la costatazione della crisi irreversibile, anche sul piano economico, della società della merce. “La terza forza”, pubblicato dapprima sulla rivista Sinn und Form 2/1993 e poi, come il saggio precedente, sul già citato Der Letzte macht das Licht aus, propone un’analisi succinta della situazione politica globale e avanza delle proposte pratiche. “L’onore perduto del lavoro”, pubblicato su Krisis n. 10 (gennaio 1991) esamina il nodo centrale dei concetti di “lavoro” e “lavoro astratto”.

Soprattutto quest’ultimo testo può risultare di non facile approccio. Ciò è dovuto tanto al fatto di essere concepito come un’esplorazione in una terra quasi sconosciuta, dove stabilire dei primi risultati conta più di una loro presentazione perfetta, quanto, e ciò vale per tutt’e tre i testi, a un uso della lingua ricco di sfumature e implicazioni, difficilmente traducibile in forma del tutto piana.

Chi non si arresterà di fronte a queste difficoltà, non avrà perso il suo tempo. Su molti punti stancamente discussi da decenni tra marxisti si può finalmente tagliare corto. (In Germania sono però spesso state le persone di provenienza non strettamente marxista a dimostrarsi più aperte verso l’impostazione di Krisis.) I dibattiti che si sono svolti ultimamente in Italia sul postfordismo, sul significato della “rivoluzione informatica”, sul “frammento sulle macchine” di Marx, ma anche la sempreverde discussione sul “soggetto” o intorno alla “teoria dei sistemi” ne possono trarre potenti impulsi. Ma c’è di più: il naufragio rovinoso che la “sinistra” ha subito anche in Italia potrebbe rivelarsi l’occasione per un rinnovamento – ma solo al prezzo di congedarsi da vecchie illusioni e di aprire gli occhi, e dunque di prestare attenzione a teorie come quelle su cui ha lavorato questa rivista.


1) Di Kurz si ricordano inoltre: Honeckers Rache (La vendetta di Honecker), del 1991, Potemkins Rückkehr (Il ritorno di Potemkin) del 1993, ambedue sull’impossibilità della “riunificazione” tedesca, e la raccolta di articoli Der Letzte macht das Licht aus (L’ultimo spenga le luci) del 1993 (tutti Edition Tiamat, Berlin). Una serie di articoli di Peter Klein sulla Rivoluzione d’ottobre uscita sui numeri 3-6 di Krisis è stata ripubblicata con il titolo Die Ilusion von 1917, Edition Horlemann, Unkel 1992. Un volume collettivo sulla “democrazia e i suoi estremisti di destra” è stato pubblicato con il titolo Rosemaries Babies, Edition Horlemann, Unkel 1993.